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Rappresentazione visiva dell'articolo: Capitalizzazione di borsa: chi vince nel mondo. E le italiane?




La Hit Parade di KPMG

KPMG (le quattro lettere della sigla sono l'unione delle iniziali dei suoi fondatori) è un network internazionale di società indipendenti, di diritto svizzero, che offre servizi professionali alle imprese. 

Fra le sue attività, KPMG analizza regolarmente i principali gruppi mondiali, e li classifica usando database come il Fortune Global 500 e il G250/Fortune.

In una delle ultime ricerche pubblicate, ad esempio, si evidenzia che dall'anno 2000 USA e Cina hanno rafforzato la loro leadership nei settori chiave dell’ energia, della manifattura e del digitale. Mentre l’Europa – Italia compresa – esprime sempre meno player globali.

Tra le più grandi società al mondo naturalmente tante Banche, ma anche qui, dal 2000, l’Italia ha perso smalto.


Le italiane

Se prendiamo come riferimento le graduatorie globali per dimensione (ricavi/ capitalizzazione in borsa), i grandi nomi italiani ricorrono: Enel, Eni, Assicurazioni Generali, Intesa Sanpaolo, UniCredit e altri; l’Italia compare con alcune decine di società nelle classifiche internazionali, ma resta, e di molto, dietro ai colossi USA, cinesi e francesi.

Per cui risultano solo cinque aziende italiane presenti tra le prime 500 al mondo, contro le 11 del 2000. La prima è Eni, al 104° posto, che è anche quella con più ricavi e che ha recentemente superato Enel in questa speciale classifica.

Ma quanto sono “grandi” le italiane rispetto alle altre nazioni?

In un confronto abbastanza aggiornato tra la capitalizzazione di mercato fra le prime società al mondo e quella delle maggiori aziende italiane la differenza è impietosa: Nvidia, 4.000 miliardi di dollari, Microsoft poco sotto, Apple 3.700... Invece le prime società italiane per capitalizzazione di borsa, secondo i dati più recenti disponibili, sono Unicredit e Intesa San Paolo, Enel, Eni, Ferrari Stellantis... ma solo le due banche superano di poco in dollari, i 100 miliardi.

In sintesi: le tre principali aziende italiane messe insieme sommano approssimativamente $300-400 miliardi di capitalizzazione, una cifra che, se confrontata a ciascuna delle prime società globali, appare come un piccolo segmento.


I nostri "gioielli"

Anche se in termini di fatturato e asset le italiane di punta stanno sotto le major di Stati Uniti e Cina (meno peso complessivo), esistono eccellenze in settori di nicchia globali, quali energia rinnovabile, lusso, cavi, e infrastrutture. Questo profilo spiega perché l’Italia ha poche società di dimensione assoluta gigante, ma molte con forte specializzazione.

Negli ultimi 10 anni, tra le società italiane quotate con performance rilevanti, spiccano gruppi come Prysmian, che ha anche effettuato acquisizioni internazionali, Prada, anche se quotata a Hong Kong, artefice di una forte crescita sulle vendite del lusso negli ultimi esercizi, ed Enel, sempre più focalizzata nella transizione verso le rinnovabili.

Sono esempi di crescita sia organica che per linee esterne, che hanno migliorato scala e valore.


Crescita e dividendi: chi ha vinto negli ultimi 10 anni?

La crescita più eclatante del decennio, nonostante le ultimi vicissitudini, è stata quella di Tesla.

Tra le aziende internet e tech, quelle che hanno registrato i più alti tassi di crescita di fatturato e capitalizzazione fra il 2020 ed il 2024 ci sono Meta (Facebook) e Alphabet (Google): sono praticamente raddoppiate.

Amazon ha avuto, nello stesso periodo, una crescita percentuale inferiore, ma un aumento assoluto delle vendite (cioè in valore) nettamente superiore a molte altre aziende.

Altro dato interessante: nel 2024 Microsoft è stata identificata come la società che più di tutte paga dividendi a livello globale, mentre Exxon è salita al secondo posto tra i cosiddetti “big payers”; anche un'altra oil company, la più grande al mondo, Saudi Aramco, aveva versato cifre record nel 2023.


Last minute, settembre 2025: una new entry e un nuovo paperone

Il 10 settembre scorso le azioni di Oracle, azienda statunitense di servizi di cloud computing, sono cresciute di oltre il 40% raggiungendo il loro massimo storico anche in termini di capitalizzazione, 800 miliardi di dollari. Hanno lasciato tutto il mondo a bocca aperta: in poche ore, il prezzo per azione è passato da 241$ a quasi 346$.

Nello stesso lasso di tempo, Larry Ellison – che ha 81 anni ed è proprietario del 41% per cento della società – ha incrementato a 392 miliardi di dollari il suo patrimonio personale, avvicinandolo a quello dell''uomo attualmente più ricco del mondo, Elon Musk (dollaro più o dollaro meno, 439,9 miliardi.)

I motivi dietro questa impennata sono da ricercare soprattutto nel nuovo contratto fra Oracle stessa e OpenAI, leader nell’intelligenza artificiale e proprietaria di ChatGPT. Un contratto di dimensioni enormi: l'acquisto di 300 miliardi di potenza di calcolo in cinque anni – la bellezza di 60 miliardi all’anno – a partire dal 2027

In altre parole, questo significa che OpenAI e Oracle hanno raggiunto un accordo affinché la prima società possa avere accesso al computing power fornito dalla seconda.



Due semplici verità

La crescita esplosiva (soprattutto nel tech) può creare ricchezza enorme nel tempo; ma i grandi pagatori di dividendi continuano a restituire cash agli azionisti anche in fasi difficili.

Un’azienda che paga grandi dividendi può essere attraente per chi cerca reddito, ma non sempre è sinonimo di crescita: spesso questi titoli fanno parte di settori maturi con meno potenziale di espansione, e portano in dote anche rischi maggiori, nel caso dovessero scendere i loro fatturati. Al contrario, aziende in forte crescita (come Meta, Alphabet, Amazon) tendono a reinvestire molto e a distribuire meno dividendi, puntando piuttosto sull' apprezzamento del capitale.

Da un punto di vista globale, dagli anni 2000 il settore tecnologico è quello che ha guidato la crescita dei ricavi, mentre i settori “stabili” (energia, beni di consumo, infrastrutture) sono spesso quelli che hanno distribuito più utili in forma di dividendi.

Anche per il piccolo investitore privato la lezione è di facile apprendimento: non farsi guidare dall’urgenza del breve periodo. Storicamente, chi ha saputo aspettare e reinvestire i dividendi — o mantenere posizioni nelle aziende con solide prospettive — ha raccolto maggiori risultati nel lungo termine. Le fluttuazioni giornaliere sono rumorose, e la disciplina temporale è ciò che davvero conta.




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