Tutti ricordiamo con il sorriso la scena forse più celebre del film “Non ci resta che piangere” con Roberto Benigni e Massimo Troisi.I due viaggiatori si trovano ad attraversare il confine della Signoria fiorentina, e un integerrimo guardiano continua a domandare: “Chi siete? Da dove venite? Cosa portate? Dove andate?”E “…Un Fiorino!” è l’inesorabile dazio a loro richiesto ad ogni minimo passaggio sulla porta della dogana.Questo mese nel blog rispolveriamo questa immagine, perché ormai da parecchio tempo, una delle parole che circolano di più in finanza, è proprio questa: il “dazio”.
Breve storia dei dazi
La parola "dazio" deriva dal latino "datĭum", che a sua volta trova origine nel verbo "dare", con il significato di "somma data" o "tributo". Questo termine è stato utilizzato sin dall'antichità per indicare il pagamento obbligatorio richiesto per il passaggio di beni attraverso confini o territori e ha rappresentato una delle più antiche forme di tassazione applicata dagli Stati. Naturalmente questo meccanismo si è poi evoluto nel tempo, mantenendo però la sua funzione essenziale di strumento di controllo e tassazione delle merci.Già nell'antichità, civiltà come gli Egizi e i Romani applicavano tariffe commerciali per regolare il traffico di merci sulle loro vie di comunicazione. Durante il Medioevo poi dazi divennero uno strumento strategico e una delle principali fonti di introito fiscale per i signori feudali, spesso applicati sui commerci lungo fiumi e strade o sulle merci che transitavano da un comune all’altro.In seguito, il frazionamento politico tipico di questa epoca, e lo sviluppo dei rapporti commerciali, resero sempre più complesso il movimento delle merci, fino a quando furono presi provvedimenti atti a ridurre l'impatto dei dazi sul commercio territoriale, addirittura con l'istituzione di periodi di sospensione coincidenti con le fiere cittadine.Seguirono trattati commerciali e l’istituzione dei cosiddetti “porti franchi” che ebbero come conseguenza il progressivo abbandono dei tributi interni e la nascita di un sistema di dogane di confine.Di nuovo, con l'avvento della Rivoluzione Industriale, i dazi assunsero un ruolo cruciale nella protezione delle industrie nascenti e Paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti applicarono politiche protezionistiche per favorire lo sviluppo interno delle loro fabbriche.Nel XX secolo, il commercio internazionale e la globalizzazione portarono a una progressiva riduzione dei dazi grazie ad accordi multilaterali come quelli promossi dal GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) e, successivamente, dall'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC).
Gli Scenari Attuali
Oggi, i dazi non sono solo strumenti fiscali ma anche potenti leve di politica economica e di persuasione geopolitica. Negli ultimi anni, l’avvento di nuovi “nazionalismi” ha favorito anche il ritorno del protezionismo, con molti Paesi che hanno adottato misure tariffarie per tutelare settori strategici o rispondere a tensioni internazionali.In termini di volumi, i settori più frequentemente interessati dai dazi sono quelli dell'industria siderurgica: acciaio ed alluminio in primis; a seguire una marea di prodotti agricoli (cereali, carni, latticini...) e, sempre più frequentemente, il comparto "tech": dispositivi elettronici, componenti, e addirittura applicazioni e software.
La Classifica
Tra i principali attori in questo contesto troviamo, guarda caso, proprio le maggiori economie del Mondo.
- Stati Uniti: Durante la prima amministrazione Trump, gli Stati Uniti hanno introdotto significativi dazi su acciaio e alluminio, oltre che su una vasta gamma di prodotti provenienti dalla Cina. Questo approccio mirava a ridurre il deficit commerciale e contrastare pratiche ritenute sleali, come il dumping (la vendita sottoscoto) e i sussidi statali cinesi. Nel suo recentissimo "ritorno sulle scene", Trump ha ulteriormente ribadito l'importanza di tali politiche, dichiarando che "i dazi sono un potente strumento per riportare l'industria negli Stati Uniti e proteggere i nostri lavoratori". Ha inoltre annunciato l'intenzione di ampliare l'applicazione delle tariffe su ulteriori categorie di prodotti importati, citando la necessità di riequilibrare il commercio globale. Non solo: a livello geopolitico è di queste ore la riduzione dei dazi alla Colombia in cambio del permesso di rimpatriare immigrati clandestini.
- Cina: Trump è stato rieletto dopo aver promesso tariffe fino al 60% sui beni made in China. Come risposta, il Sol Levante ha da subito applicato tariffe su beni americani, inclusi prodotti agricoli come soia e carne di maiale. Questi dazi hanno avuto ripercussioni significative sulle esportazioni statunitensi, generando tensioni che porteranno certamente a lunghe negoziazioni commerciali.
- Unione Europea: Anche l 'UE ha annunciato di voler introdurre dazi in risposta alle politiche statunitensi, soprattutto per proteggere industrie sensibili come quella siderurgica. Inoltre, sono in vigore tariffe su prodotti agricoli per sostenere gli agricoltori europei. “Siamo pronti a rispondere in modo proporzionato se sarà necessario, come abbiamo fatto durante la prima amministrazione Trump", ha dichiarato Dombrovskis. Si spera anche in qualche cosa di più… nel 2018 le tariffe di ritorsione sui prodotti americani si limitarono perlopiù al Bourbon, alle motociclette e alle barche a motore Harley-Davidson. (!)
- India e Russia: L’India utilizza dazi elevati su prodotti elettronici, beni di consumo e alcolici per incentivare la produzione interna nell'ambito del programma "Make in India". Per quanto riguarda la Russia, come risposta alle sanzioni occidentali, l’amministrazione Putin ha elevato le tariffe sui beni alimentari importati, promuovendo al contempo la produzione locale.
Il caso automotive
Uno dei settori più colpiti dalle politiche tariffarie è quello automobilistico.Ad esempio, il 31 ottobre scorso la Commissione europea ha deciso di imporre in via definitiva i dazi aggiuntivi fino al 35,3% sulle importazioni delle auto elettriche cinesi in risposta ai maxi-sussidi sleali elargiti da Pechino. Tesla, Bmw e le tre case automobilistiche cinesi Saic, Geely e Byd hanno presentato ricorso alla Corte di giustizia europea per contestare i sovrapprezzi doganali europei; allo stesso tempo stanno anche delocalizzando la produzione verso i mercati che presentano minori restrizioni, trasferendo la manifattura in Paesi che godono di accordi commerciali favorevoli, anche attraverso la costituzione di joint venture locali.
Esistono strategie per aggirare i dazi?
In un mondo più complesso di quello del XIX secolo, la globalizzazione ha messo facilemente in atto strategie alternative. Ad esempio gli americani hanno importato meno dalla Cina, ma comprato di più da altri paesi. Per aggirare i dazi, molte aziende hanno spostato le catene di approvvigionamento in Sud-Est asiatico (Vietnam, Malesia) e in Messico, che sono diventati nuovi centri di assemblaggio, usando però anche componenti cinesi.A questa procedura si affianca da sempre il fenomeno delle triangolazioni commerciali, che consiste nel trasferimento di merci attraverso Paesi terzi che non sono soggetti a tariffe elevate. Ad esempio, un produttore cinese può esportare un prodotto in un Paese vicino, come il Vietnam, dove viene etichettato come "prodotto locale" per poi essere inviato negli Stati Uniti con tariffe ridotte o inesistenti.Questo tipo di pratica, sebbene efficace nel ridurre l'impatto dei dazi, è spesso al centro di controversie legali e indagini doganali. Per questo gli Stati Uniti hanno intensificato i controlli sulle importazioni per verificare l'origine effettiva dei prodotti, cercando di contrastare questo tipo di elusione. Tuttavia, il fenomeno rimane diffuso, in particolare nei settori dell'elettronica, dell'abbigliamento e dei componenti industriali.
Cosa dicono gli Economisti: dazi per sempre?
Secondo molti economisti, l'uso dei dazi come strumento politico potrebbe persistere, ma con il tempo si potrebbe anche assistere a una parziale normalizzazione.Paul Krugman ha ottenuto il premio Nobel per l'economia nel 2008 proprio per i suoi studi di geografia economica sugli andamenti commerciali. Più volte ha dichiarato che i dazi sono spesso inefficaci nel lungo termine per ridurre i deficit commerciali, ma possono essere utilizzati temporaneamente per proteggere industrie in crisi.Da Harvard, risponde invece l’economista turco Dani Rodrik, strenuamente convinto sul fatto che l'uso strategico dei dazi sia destinato a caratterizzare le future relazioni commerciali, soprattutto in un contesto di crescente tensione geopolitica.Altri esperti, come Jeffrey Sachs, ritengono che una cooperazione internazionale più stretta possa portare a una riduzione delle barriere tariffarie, ma ciò richiede un forte impegno politico da parte delle grandi potenze economiche. La sfida principale sarà bilanciare gli interessi nazionali con quelli globali, evitando che il protezionismo eccessivo comprometta la crescita economica mondiale.Ricetta tutto sommato facile, ma di questi tempi, con il nuovo inquilino della Casa Bianca alle porte, difficilmente attuabile. Ma è davvero tutta colpa di Trump? I numeri dicono di no: Biden non solo ha mantenuto quelli messi da Trump nel primo mandato, in alcuni casi li ha anche aumentati…Rassegniamoci: è sempre piacevole ricordarlo, ma il dazio di Benigni e Troisi, un misero “ fiorino”, è destinato a restare solo in un film.