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Rappresentazione visiva dell'articolo: Finanza da bere: quanto rende il settore spirits? Piccoli consigli per il bicchiere mezzo pieno.

“Aqua ardens”, spirito ardente e spirito di vino sono tra i termini più usati da secoli per indicare l'alcol o una soluzione idroalcolica più o meno concentrata. Spirito deriva dal latino “spiritus” che significa soffio, respiro, spirito vitale e, per estensione, esalazione.


Il termine alcol arriverà più tardi, e anche il business avrà la sua parte.


Premessa con disclaimer

Come avvenuto anche in passato per altri argomenti “delicati “ (es.: combustibili fossili, armi, …), questo contributo si prefigge di analizzare l’argomento in relazione al solo ambito finanziario, a prescindere cioè da ovvie (o meno, dipende dai punti di vista) considerazioni di carattere etico: in questo caso in merito alla commercializzazione e all’ incentivazione al consumo di bevande alcoliche.


Sollevati così da qualsivoglia responsabilità morale, abbiamo già capito che questo mese il blog tratterà di bevande quali vino e birra e di “spirits”, i liquori, segmento merceologico da sempre al centro di speculazioni finanziarie, fusioni, acquisizioni e lotte per il possesso di marchi e società.


Per quale motivo? Diciamolo subito: perché molto profittevole e con consumi in crescita.


Qualche numero e un po' di geografia

È una foto tutta a colori quella del mercato mondiale delle bevande alcoliche che, con i suoi cinque segmenti – vino, superalcolici, birra, sidro, ready to drink – raggiunge un valore di oltre 1.300 miliardi di euro. Un settore in rapidissima ascesa e sempre più diversificato anche per la modalità di acquisto che sempre di più, accanto alla vendita diretta, vede crescere il numero degli store online.


A trainare è la birra (42% del totale del mercato mondiale), seguita dai superalcolici (35%) e dal vino (20%). Ulteriore nota: il superalcolico maggiormente in ascesa nelle preferenze dei consumatori, in particolare tra i più giovani, è senza dubbio il gin.


Merita un discorso a parte la novità dei cosiddetti ready-to-drink, ovvero i cocktail già pronti da bere che sono ancora in fondo alla classifica (2%) , ma in rapida ascesa, se si pensa che anche lo chef tri stellato Antonino Cannavacciuolo ha proposto pochi giorni fa il suo aperitivo “Rtd”.


Naturalmente gli scenari di crescita variano a seconda dell’area geografica e, con un tasso annuale di crescita stimato del 7,2%, è il Sud America la zona che si impone a maggior potenziale mentre l’area del Pacifico, che costituisce da sola un terzo del settore, si dimostra il mercato più maturo.


L’ Europa, posizionandosi terza per potenziale di crescita, detiene il 29% del valore del mercato globale, per un totale di 349,8 miliardi di euro.


Per il vino, in particolare, dati ufficiali al 2021, il business era di 245,6 miliardi di euro con stime di 305,2 miliardi alla fine del 2025.


La quota vino in Italia è particolarmente incoraggiante, con un valore totale, sempre al 2021, di 14,2 miliardi di euro (terza dopo Francia, 20,7 miliardi, e Regno Unito, 15,8 miliardi) e con una stima di crescita al 2025 del 7,9%, la più alta del continente.


Restiamo in Italia e citiamo solo un altro dato, aggiornato allo scorso giugno: Federvini ha dichiarato una crescita delle esportazioni, negli ultimi 20 anni, del 180% per il prodotto dei nostri vigneti, e addirittura del 300% per i liquori.


La finanza non sta a guardare

Con questi dati, il settore è perciò oggetto dell’interesse di Fondi d’investimento, di Gruppi e di Investitori singoli o strutturati, e da tempo continuiamo ad assistere ad operazioni economicamente rilevanti, come l’acquisizione di storici produttori o di marchi, o gli ingressi nel capitale di piccole e medie aziende da parte di realtà finanziarie facenti capo a Famiglie blasonate o a veri e propri colossi multinazionali, quotati in borsa, quasi sempre nel settore del lusso o della distribuzione alimentare.


Anche in questo caso utilizziamo l’esempio forse più calzante: Moët & Chandon, Krug, Veuve Clicquot, Hennessy, Château d’Yquem, Glenmorangie, Colgin: sono solo alcuni dei più rinomati marchi di vini e alcolici del gruppo LVMH, sigla che sta per “Louis Vuitton Moet Hennessy” e che richiama subito alla mente “haute couture” e, appunto, champagne.


Quotato alla Borsa di Parigi, dal 1987 ha acquisito progressivamente oltre settanta marchi di alta moda (Dior, Kenzo, e le italiane Fendi e Loro Piana, etc..) di profumi, orologi e gioielli (Tiffany e Bulgari) e dei già ricordati vini e distillati. Ma non mancano nel portafoglio del gruppo l’editoria e la grande distribuzione (Sephora, Le Bon Marchè).


Un’ultima curiosità: forse non molti sanno che anche una allora piccola azienda nata nel 1990 a Reggio Emilia, che si occupava dei primissimi cellulari, nel 2013 ha ceduto la maggioranza delle quote a LVMH. Il marchio ora è notissimo: Cellularline.


Nel Bel Paese. Red passion e finanza …da bere

Ci piace partire da lontano, e ricordare che già all’inizio dell’800, la seconda generazione dei Florio (Vincenzo) comprò delle vigne nel territorio attorno a Marsala iniziando a produrre quello che fu chiamato “vino inglese”, qualcosa che assomigliava allo sherry, un vino fortificato che veniva prodotto in Andalusia, nella zona di Jerez de la Frontera e che piaceva molto Oltremanica. Quel vino dolce e liquoroso fu proprio chiamato “Marsala “e da allora contribuì non poco ad aumentare e diversificare le già cospicue fortune della famiglia.


A seguire, quasi Regno D’Italia. Gaspare Campari nel 1860 inventa la sua rossa miscela, ed il figlio Davide nel 1867 sceglie un locale che dalla nuova Galleria Vittorio Emanuele di Milano si affaccia in Piazza Duomo per l’apertura del primo “Caffè Campari”. Di qui nascerà l’aperitivo, ancora oggi un momento di socialità tutto italiano con cocktail iconici, come “l’Americano” o il “Negroni”.


La svolta è quella del 1995, con la decisione tutta finanziaria di cominciare a crescere anche per linee esterne (Crodino, Cinzano), e di quotarsi in borsa all’inizio del nuovo millennio. Da questo momento i progressivi annunci di ingresso nel Gruppo di prestigiosissime marche di amari, gin, cognac e whisky internazionali, accompagneranno il titolo in una volata che dai pochi centesimi iniziali di quotazione si è avvicinato in alcune fasi di mercato anche ai 13 euro, e che forse ha pochi eguali sul nostro listino.


Dopo questa bella storia tutta lombarda, e per restare in argomento, come non ricordare anche l’espressione “Milano da bere”?


Lo slogan pubblicitario ideato nel 1985 da Marco Mignani per la réclame dell’Amaro Ramazzotti finì per identificarsi con la vita sociale milanese degli anni '80 ed è stato utilizzato spesso in modo scherzoso per indicare un'idea di vivacità e modernità, che in quel periodo si associava alla città, ma anche alla sua superficialità, individualismo e, ahimè, persino disonestà.


Oggi, vedi sopra, il marchio appartiene alla filiale italiana di un altro Gruppo multinazionale francese quotato in borsa, la Pernod Ricard ed è un brand in buonissima compagnia, perché della combriccola fanno parte anche lo champagne Mumm, il cognac Martell e Absolute Vodka.


Piccoli investitori: per avere il bicchiere sempre mezzo pieno.

Partecipare alla festa in questo settore sembrerebbe molto facile: singoli titoli “spirits” quotati sulle principali borse del mondo, nell’era del web, sono facilmente individuabili e già raggruppati in liste, e con la app della nostra Banca di fiducia, sono davvero a portata di pochi passaggi.


Più difficili da acquistare on line, e sicuramente più tecnici, gli ETF o i Fondi Comuni e le Sicav specializzate nel settore, ma anche con questi strumenti finanziari non c’è che l’imbarazzo della scelta in quanto quasi tutte le maggiori Case di Gestione del mondo hanno in catalogo questo settore.


Vige però, come sempre in chiusura, l’eterna raccomandazione, rivolta soprattutto agli investitori “fai da te”: per evitare Il rischio di pericolose ubriacature o dipendenze si consiglia l’aiuto di un Consulente. Riconoscerete subito quello davvero bravo perché la prima cosa che dirà sarà: “comprate con moderazione”!

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